Anche i ricchi piangono come ha fatto la Wanda.
Avevo lasciato il calcio là, riposto in una bella teca di cristallo della mia memoria, con all'interno un centinaio di nomi e ricordi; tra i tanti quello del mio compagno di banco che in prima elementare aveva appiccicato sul mio diario una figurina del Milan, quella con lo scatto della squadra al completo. Per non dargli la soddisfazione di avermi fatto un dispetto con il suo gesto di sfregio all'armonia grafica del mio fantastico Poochie-diario, affermai con grande convinzione "Anch'io tifo per quella squadra e mi mancava proprio quella figurina!". Iniziò un grande studio della formazione rossonera, della storia della squadra, delle regole base del calcio e delle tattiche. Figlia di un interista e di una juventina, portai in alto il tifo milanista in casa e non fu così difficile, poiché gli anni novanta regalarono grandi soddisfazioni e pochissime sofferenze al Milan. Poi c'erano i grandi giocatori, le bandiere della squadra Baresi, Maldini, Gullit, le Champions League.
Oltre alla fede per un determinato club, c'era l'appartenenza ad un tipo di calcio, quello italiano in cui non giravano cifre astronomiche, non c'era un vero e proprio business che smuoveva ingaggi stellari e giocatori con la velocità con cui si dice "supercalifragilistichespiralidoso", ma c'era passione, lavoro, concretezza e soprattutto Sacchi e Trappattoni.
Era il calcio dei mondiali, le notti magiche del novanta e quelle americane del novantaquattro, quando in piazzetta si portava il televisore più grande che si trovava nelle case del quartiere, si mettevano le seggioline pieghevoli, si comprava la pizza dal fornaio e tutti a sperare che Baggio la mettesse dentro.
Piano piano, o forse più velocemente di quanto io non pensi, il calcio è cambiato, come è giusto che sia. Nessuno adotta più il catenaccio, nessuno più resta in una squadra per più di sei mesi (a parte qualche caso particolare), l'album dei giocatori non è più Panini ma Instagram.
Quelli romantici come me il calcio non lo seguono più, guardano i mondiali e gli europei più per una sorta di patriottismo sportivo che per un vero interesse nell'evento o nei risultati. Quando rimaniamo orfani della nazionale, come in Russia, la mia attenzione va sulle squadre più scarcassate, per amore della favola "gli ultimi saranno i primi", ma gli interessi economici ed evidenti superiorità di forze in campo non facilitano la realizzazione di un sogno così fanciullesco.
Nonostante la disaffezione nei confronti del calcio, non ho potuto sottrarmi alle vicende legate ad un curioso personaggio femminile, di nome "la Wanda Nara", poiché sembrano interessare non solo i quotidiani sportivi, ma anche le riviste di gossip, i twitter più bollenti, le conversazioni da bar e i più impegnati e seri telegiornali nazionali.
Dovendo colmare le mie lacune calcistiche, spinta dalla curiosità e soprattutto dalle espressioni di sconforto che solcano il viso di mio padre interista ogni volta che "la Wanda" compare sullo schermo o viene nominata, mi sono messa a studiare.
"La Wanda Nara" sembra essere una biondina tutte curve, con cinque figli, un ex marito calciatore, qualche video hot, un nuovo marito calciatore di cui è anche procuratrice, ossia colei che lo rappresenta e tratta i soldi con le società. Una donna tuttofare che è riuscita ad abbindolare un ragazzino di ventisei anni, calciatore, convincendolo a darle tutto il malloppo del suo ingaggio, dopo che aveva già messo in cascina tre figli con il precedente marito, un certo Maxi Lopez.
Brava lei, stupidi loro.
Il problema della Wanda è che lei ora vuole mettersi a giocare con i grandi, con gente che tratta un sacco di soldi e che si trova nel calcio da molti più anni di lei, che ha un pelo sullo stomaco non indifferente e che evidentemente il rinnovo del contratto al marito, che si è rivelato una ciofeca, alle condizioni che lei vuole dettare, non lo firma.
La situazione precipita, il suo Icardi non ha più la fascia da capitano e non gioca neanche più.
A questo punto sarebbe opportuno fare i grandi, capire che fin quando si parla di giocatori di qualche anno più piccoli di te, ne puoi ancora uscire vincente, ma quando si tratta di squali veri ti conviene correre velocemente verso la spiaggia e metterti al riparo. In questo caso ringraziare, far capire che toglierai il disturbo e che ti rivolgerai a qualche altra squadra.
"La Wanda Nara" invece va in televisione e con l'aspetto un po' trasandato, il trucco malfatto, ci propina una scena di pianto finto che io con una cipolla e la pinza nei capelli, raccontando la barzelletta del fantasma formaggino mi candido subito all'Oscar.
Anni e anni di storia delle pari opportunità, delle "donne al potere" e del fantastico "girl power" delle Spice Girls gettati nel cesso, grazie a lei.
Una scena patetica degna delle miglior telenovelas di Caracas. Piange e si dispera per suo marito, che non gioca e non è felice, che non vuole lasciare Milano (ma è una battuta, vero?) perché lì sta bene (è una battuta, vero?) e chiede aiuto a Moratti (ma è una battuta, vero?) e lacrime e moccico a iosa.
Che dire Wanda: che dire se non che mi fai vergognare di essere donna, che anch'io ora avrò quell'espressione contrita sul viso come tutti gli interisti quando sentirò il tuo nome e che saresti più onesta a dire che piangi perché non so quanti milioni di euro potresti perdere se non rinnovano il contratto a tuo marito. In fondo Wanda lo sappiamo che anche i ricchi piangono, solo per i soldi, ma per quelli piangono, eccome se piangono.
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