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cineretrò con caffè #10: La tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci 1981

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Bertolucci l'ho sempre trovato ostico, proprio come la meccanica razionale: materia oscura, propedeutica e indispensabile ad altre applicazioni, ma poco intuitiva, per niente immediata e anche dopo averla studiata e aver superato l'esame non so ancora bene di cosa tratti, rimanendo una specie di nebulosa di informazioni e concetti che il mio limitato cervello si rifiuta di padroneggiare. Per me il regista emiliano è al limite dell'incomprensibile e non si smentisce neanche in questo film. La storia fa perno su un rapimento che si vede, il padre del ragazzo rapito è testimone oculare del fatto grazie a un binocolo avuto in regalo dallo stesso figlio, ma nel procedere della narrazione la tragedia del triste evento non si percepisce. Rimangono il dramma delle dinamiche familiari, una certa critica alla politica ("Questo è proprio un comizio: mentiamo quando dobbiamo dire la verità, diciamo la verità quando dovremmo mentire), l'eterna lotta generazionale e anche un po&

cineretrò con caffè #9: Deserto rosso di Michelangelo Antonioni 1964

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L'ho rivisto almeno una decina di volte; ogni volta aggiungo dei tasselli, ma nonostante ciò, ogni volta, credo fermamente che qualcosa continui a sfuggirmi.  Giuliana vaga per la città deserta, a tratti avvolta da ambientazioni monocolore, che mi riportano agli albori del cinema espressionista; Giuliana vaga con i suoi movimenti imprevedibili tra serpentine di tubi, condutture e tralicci; Giuliana vaga tra i suoi pensieri sconclusionati quanto terribilmente lucidi; vaga nel mare inquieto della sua malattia trasportata da bastimenti carichi delle sue nevrosi. Trova riposo e consolazione nel breve attimo della fantasia di una spiaggia rosa. Tutto il racconto è incentrato su di lei, sul suo "incidente d'auto" e lo shock che non le permette più di ingranare; in realtà sono l'ambiente circostante e i dialoghi, a tratti surreali, che definiscono le riflessioni dello spettatore. Michelangelo Antonioni e Tonino Guerra, sceneggiatori del film, mettono sotto la lente d'

Paralimpiadi Tokyo 2020. Riflessioni non richieste.

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Oggi aleggia nella mia piccola casa una sorta di malinconia latente: è lì, tra le pagine di "City making. L'arte di fare città.", "Cinema degli anni 30." e "1001 vini."; si è annidata nel ripiano delle mie scorte mangerecce tra i carboidrati della pasta, quelli della brioche al cioccolato, rigorosamente integrale, e i tre sacchetti di tortillas (ah no due, uno mi ha abbandonato ieri intorno alle tre di notte); la malinconia ha trovato rifugio nel cassetto delle posate tra cucchiani e coltelli e una strana paletta di cui ignoro l'utilità e che non ho proprio idea di come sia finita tra la schiumarola e la marisa; se apro l'armadio, la vedo accoccolata tra le trenta magliette nere e le venti bianche comprate in stock in qualche grande magazzino, perchè mi piace la moda e cambiare, ma mi vesto sempre uguale.   E' la malinconia del tipo "La musica è finita, gli amici se ne vanno..." (che era anche l'ora, che sono le due di notte e

Le mie (personalissime e inutili) pagelle di Tokyo 2020

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Giappone, voto 10 : nonostante le perplessità, le difficoltà e le proteste, con un buco nel bilancio complessivo enorme, i giochi si fanno e anche bene, pure con la minaccia tempesta, uragano, tornado che mai una gioia. Perseveranza. Divise, voto dal 3 al 10 : i vestiti tradizionali di alcune nazionali meritano un 10 pieno per colori, tradizione, storia, le divise giacca e pantaloni guadagnano un 6 politico a mani basse, Bermuda merita un 7 per coerenza, Armani, a cui poco importerà (giustamente), si becca un 3 secco per una tuta con un super bollino punti convenienza Coop sulla pancia (lo salvo dal 2 perchè la scritta stile idioma non è male). Giorgio ricorda: "hostess style, will never die". "Pacata" esultanza dell'allenatore (nuoto) dell'Australia, voto 9 : è la conferma che dietro ogni buon atleta si cela un ottimo allenatore sugli spalti, e poi, diciamolo chiaro, ma chi è che non esulterebbe così per un oro? Cazzimma e tifo. Federica Pellegrini, voto im

Consigli pratici per pizzabianca #4

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E' stato un weekend di convivenza molto difficile con voi Pizzabianca, quindi udite, udite! Anzi leggete. Vi sconvolgerà scoprire che la Pianura Padana non è la culla della civiltà intera, ma che, anche senza il vostro aiuto, la Liguria ha fatto grandi balzi evolutivi verso il progresso. So che siete convinti che senza di voi, il popolo ligure userebbe, ancora oggi, come principale mezzo di comunicazione interpersonale la clava, ma qualche contributo all'epoca moderna ha visto la nascita in codesto magnifico territorio. 1_  Avete presente il calcio? Ufficiosamente nato nel 1863 in Inghilterra, ufficialmente inventato dai camalli genovesi. La vera storia è questa: mentre gli inglesi giocavano a rugby sui pontili, i camalli, che scaricavano i bastimenti e avevano le mani occupate, respingevano i palloni capitati sulla loro traiettoria con i piedi; "Tou lì u soccer" come riportato nelle memorie private della scignua Rosa Parodi, moglie del portuale Franco Parodi. 2_ Levi

Consigli pratici per pizzabianca #3

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Il bagnino romagnolo attira la turista gnocca straniera come io attiro voi, cari miei pizzabianca.  In questi due giorni ho capito che, per aiutarvi nel percorso di integrazione con il nobile popolo ligure, avete bisogno di alcuni consigli di tipo geografico/stradale. 1_"Uè tipa, per andare a Sestri?". Prima di tutto il termine "tipa" non si era estinto insieme alle paninoteche verso la fine degli anni novanta? Poi, cari pizzabianca, in Liguria esistono due Sestri, una di Levante e una di Ponente; poichè il ligure non è tenuto a leggervi nella mente, attenzione non ho detto che non lo sappia fare, se voi non specificate correttamente l'indicazione geografica, sceglierà a suo piacimento. Nel mio caso: "Guarda sei a Chiavari, dovevi uscire prima. Devi riprendere l'autostrada, direzione Genova. Belin, mi spiace!". 48 Km e sei a Sestri Ponente, contro 8,5 Km per Sestri Levante (direzione Livorno). 2_ Siete stanchi di svernare a Rapallo, dove ormai il r

Consigli pratici per pizzabianca #2

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Cari Pizzabianca, dopo un anno difficile per tutti, vorrei essere gentile con voi e accogliervi nella fantastica Liguria a braccia aperte, con la gentilezza e la cordialità che ogni ospite meriterebbe. Ho deciso, perciò, di aiutarvi a integrarvi nel mondo ligure con qualche consiglio, soprattutto di tipo mangereccio. 1 - Cominciamo dalla pizza bianca: in Liguria non esiste! Quella che vedete è FOCACCIA, come scritto sull'apposito cartellino dal panettiere. Se per pizza bianca intendete quella col formaggio sopra, state sbagliando: quella, sempre come indica il cartellino, è FOCACCIA AL FORMAGGIO (a meno che voi non vi troviate a Recco, dove potete chiamarla focaccia al formaggio tipo Recco). Se volete la pizza bianca andate a Roma, cioè circa 500 Km più in giù di Genova. 2 - Capisco che Punta Ala e Portofino si possano confondere nella vostra mente annebbiata da turisti girovaghi, campioni del mondo di selfie, ma da noi quella sottile, abbrustolita, scrocchiarella cialda di farina

Consigli pratici per pizzabianca #1

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Comincio da un post che ho scritto più di un anno fa sul mio profilo Facebook personale. Cari pizzabianca è inutile che provate a mischiarvi nella fila del supermercato: io vi vedo! Non siete aghi in un pagliaio, siete travi nel mio povero occhio! Nel vostro tentativo goffo di volervi camuffare da liguri, commettete parecchi errori: 1_ Un ligure non si fa il bagno nel profumo prima di uscire; 2_ Un ligure non si veste per andare a far la spesa come all'ultima sfilata di Armani; 3_ Un ligure non si mette la tuta di Gucci per andar a fare la spesa sotto casa, perché i vicini potrebbero pensare che allora ha i soldi, che è ricco e un ligure non ha mai i soldi altrimenti non può mugugnare; 4_ Un ligure non gira con la lista della spesa sul telefonino: prima di tutto perché il ligure compra sempre le stesse cose e porta con sé i soldi giusti (che al ligure non lo freghi alla cassa neanche sul centesimo), e poi perché il ligure usa il biglietto di carta e non fa vedere che ha il cellular

Popoletto del Festival: "Zitti e buoni"

Si è conclusa la discussa settantunesima edizione del Festival della canzone italiana, condita con le classiche e immancabili polemiche; ma, mentre tutti erano concentrati sul calo degli ascolti, la durata temporale estremamente lunga delle serate e la scontata diatriba dialettica su Achille Lauro, io sono rimasta colpita da altri avvenimenti. Comincio da Amadeus; mentre l'anno scorso era stato pubblicamente ripreso dalla associazione del politically correct, suprattutto la fronda femminista, per una sua frase infelice, quest'anno, nella serata delle cover, introducendo l'esibizione di Gio Evan, dice: "Max Pezzali ha scritto canzoni che sono il manifesto pop di una generazione che aveva rinunciato all'impegno e si era concentrata su se stessa." Tutto chiaro? Choosy, fancazzisti, figli di papà che non siete altro? Non siete mica quelli del sessantotto, voi. Loro sì che erano impegnati hippie, sognanti figli dei fiori e rivoluzionari diciotto politici, protagoni

cineretrò con caffè #8 - Landru di Claude Chabrol 1963

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Il soggetto non è nuovo; già Charlie Chaplin con Monsieur Verdoux (1947) aveva attinto dalle cronache nere francesi di inizio secolo ispirandosi al serial killer che aveva fatto sparire le sue vittime, almeno undici, nel forno di una villa isolata di sua proprietà. Chabrol si affida alle ricostruzioni più veritiere dellastoria, ma si discosta dall'efferata violenza dei crimini, plasmando la figura di Landru quasi fosse un simpatico bricconcello; l'uomo, che sceglie le sue vittime, possibilmente facoltose vedove o zitelle di bell'aspetto, con un annuncio sul giornale, non appare agli occhi dello spettatore come uno spietato serial killer che, nelle difficoltà della prima guerra mondiale, si approfitta dell'ingenuità e fragilità delle vittime per un proprio piacere e tornaconto economico, ma alla fine, grazie ai suoi modi da simpatico mascalzone, porta l'intera narrazione su un piano noir - comico. "Non sapete cosa è costretto a fare un galantuomo per sopravvive