Oscars 2019 - Tutto il mondo è paese
Tutto il mondo è paese. Anche la lontana Los Angeles assomiglia alla nostra Sanremo.
Anche in terra americana nascono polemiche, gossip, ci sono vinti e vincitori, pronostici, politica e paillettes.
Le polemiche quest'anno riguardano vari personaggi: prima di tutti Alfonso Cuarón. Molti critici di settore lo percepiscono come un megalomane, borioso pieno di sé solo perché nel film Roma, che si porta a casa la statuetta come miglior film straniero, miglior regia e miglior fotografia, ha ricoperto il ruolo di regista, direttore della fotografia, ne ha scritto soggetto e sceneggiatura e ne ha fatto il montaggio ed è anche produttore. Cari critici l'avete visto il film? Se Alfonso riesce a confezionare una perla del cinema contemporaneo come questo e lo fa tutto da solo, tanto di cappello, e fatevene una ragione! Non solo, l'altra critica mossa a Roma è che il film sarebbe algido e distaccato, più concentrato nel dimostrare la bravura del regista e la sua ricerca di bellezza piuttosto che coinvolgere lo spettatore nella storia. Non avete capito proprio niente; il film potrebbe sembrare distaccato perché è fatto di attimi, dettagli impercettibili ma magnifici, che rendono la narrazione quasi apatica: niente scene esasperate, strappalacrime o struggenti a tutti i costi, ma descrizioni e sensazioni precise, sussurrate, delicate.
Quindi Alfonso Cuarón si merita un bel dieci con lode.
Altra polemica è quella innescata da Spike Lee, poco felice della vittoria come miglior film di Green book.
Tanti si aspettavano la conquista della statuetta da parte del regista, che ne ha ricevuta una per la miglior sceneggiatura non originale di BlacKkKlansman, ma che non riesce a sottrarre l'Oscar più ambito alla commedia di Peter Farrelly. Mi spiace Spike, lo so che per tutta la sera, e anche prima sul red carpet, hai ricevuto le attenzioni di tutti e una miriade di metaforici "mi piace", ma Ultimo docet:
le giurie contano e non sempre il principe azzurro trova la scarpetta di vetro.
Veniamo al gossip. Lady Gaga lascia il suo compagno Christian Carino a pochi giorni dalla premiazione degli Oscars, arriva vestita e agghindata come una moderna Audrey Hepburn di Colazione da Tiffany, sfoggiando al collo un diamante grosso come un'albicocca, proveniente proprio della famosa gioielleria, esegue un duetto con il suo collega Bradley Cooper, flirtando palesemente con lui di fronte alla sua bellissima moglie, scende dal palco e abbraccia, fintamente, Irina Shayk (la Cooper moglie), che in compenso, secondo me, in un orecchio le scandisce bene: "Bella, guarda che il film è finito da un pezzo." Già, perché chi ha seguito la cerimonia, non può non aver notato gli occhi a cuoricino della signorina Angelina Germanotta e il brodo di giuggiole in cui finiva ogni volta che incrociava lo sguardo del conteso Bradley. Durante il duetto è stato perfino imbarazzante; va bene il pathos e l'interpretazione, ma con un po' di contegno Miss Gaga! Anche perché non sei più sul set e soprattutto sua moglie è a cinque metri da voi e ogni volta che sente il tuo nome le viene l'ulcera e l'istinto di lanciarti il tacco dodici in mezzo alla fronte, ma è signora e si contiene, mimando sorrisi che assomigliano a smorfie di dolore. In tutto questo, come è palese la cotta adolescenziale della popstar, altrettanto chiaro è l'imbarazzo del signor Cooper, che sembrava avesse mandato alla cerimonia il suo cartonato, da quanto era rigido per l'imbarazzo.
Ora tocca ai vincitori e ai vinti. I vincitori sono ovviamente tutti coloro che hanno ricevuto l'ambita statuetta, l'Academy, che ha organizzato un evento all'insegna dell'estrema par condicio, Melissa McCarthy e tutte le donne che hanno indossato elegantemente i pantaloni, tutte le donne che hanno incespicato nelle voluminose gonne o negli strascichi fuori controllo, Billy Porter con il suo smoking-gonna, di nuovo Melissa e Brian Tyree Henry che hanno strappato un sorriso ad un pubblico un po' annoiato.
La lista dei vinti non è molto lunga: in primis la cerimonia, orfana di un conduttore o conduttrice, o entrambe, in grado di trascinare il pubblico e rendere frizzante lo spettacolo che alla fine, a parte qualche cameo, si è rivelato un freddo elenco di candidati e vincitori. Tra i non vittoriosi vanno citati Spike Lee, infuriato dopo la cerimonia, e Glenn Close che neanche alla settima candidatura riceve la statuetta. Glenn, magari prima o poi si ricordano di te: sii paziente come Leo o incavolati come Loredana Bertè.
Tra i "losers" va anche l'Academy stessa che nel segmento In Memoriam, ha sicuramente dimenticato qualche nome eccellente, come ogni anno.
Infine tra i vinti metterei Bradley che, a causa del sospetto triangolo amoroso, era seduto sulla sedia come se avesse la sabbia infilata lì dove non batte il sole, non ha avuto alcun riconoscimento, e si è barcamenato tra due donne pervaso dalla paranoia di un elefante che si muove in una cristalleria.
Ogni gara o riconoscimento che si rispetti porta con sé dei pronostici: in questo caso alcuni sono stati disattesi, altri confermati, ma anche qui l'Academy non si è rivelata troppo audace, per esempio, premiando la splendida Yalitza Aparicio, super messicana che avrebbe esposto la statuetta a critiche spietate dell'uomo col riporto.
Se l'Academy non si è sbottonata troppo politicamente, qualche premiato lo ha fatto nel suo discorso toccando soprattutto i temi dell'uguaglianza, dell'unione, dell'inclusione, parlando dei gay, degli immigrati e dell'amore. A pensarci bene però hanno vinto la statuetta il film Green Book che questi temi li tocca un po' tutti e Rami Malik, figlio di immigrati egiziani (anche qui sento lievi note sanremesi).
Anche quest'anno non sono mancati gli sberluccichii che, non direttamente sul palco, tutto pieno di onde che abbracciano e inviluppano, ma soprattutto alle quattro del mattino fanno venire il mal di mare, sono stati protagonisti sugli abiti, come quello di JLo, o sui décolleté delle dame, in primis il già citato Tiffany di Lady Gaga. Anche se quello di Jared Leto ai Brit Awards 2019 non lo batte nessuno.
L'immancabile caduta dal palco a questo giro è toccata al talentuoso Rami, la statuetta del più gentile e cavaliere va d'onore a Chris Evans che offre il braccio a Regina King in una maniera così galante da far commuovere le donne di una certa età come me, e alla divina Julia Roberts resta l'onore di chiudere la cerimonia. Ci rivediamo il prossimo anno e giù il sipario.
@Riproduzione riservata
Commenti
Posta un commento