Strani intrecci: Salvini-Rousseau, Mahmood-Morelli
Salvini e Rousseau (la piattaforma), due destini che si uniscono, citando i Tiromancino.
Oggi gli iscritti al Movimento 5 stelle, si esprimeranno on-line sull'autorizzazione a procedere nei confronti del ministro e co-vice-premier Matteo Salvini.
Rosseau, il filosofo che riteneva la civiltà causa del male e delle sofferenze dell'uomo ed elogiava la natura, colui che, con alcuni pensieri sull'eguaglianza degli uomini e il suo essere contro le forme di assolutismo, ispirò parte della Rivoluzione Francese, presta il nome ad una piattaforma che genera introiti milionari ma ha la pretesa di restituire al popolo il potere, attraverso un portale che più volte ha avuto qualche falla nel sistema, Rogue0 su tutti. Per mezzo della stessa piattaforma e per il principio del "popolo sovrano" i pentastellati, come Ponzio Pilato, si lavano le mani, politicamente parlando, riguardo la "questione Diciotti" e lanciano la patata bollente ai cittadini, ponendo un quesito per cui se dici no è sì e se dici sì è no. Questo gioco l'ho inventato a tre anni e mi tornava utile contro le imposizioni di mia mamma: lo chiamai il "nosì-sìno". L'ignara madre non aveva scampo e non capiva nulla e i divieti si trasformavano in permessi e i permessi rimanevano permessi. Io vincevo sempre e l'anarchia regnava sovrana.
Plauso quindi alla coppia Salvini e Rousseau che ne usciranno comunque vincitori, così come ne uscirà vittorioso il Movimento, incapace di una linea politica solida, attaccato alla mammella di Matteo come un neonato durante l'allattamento: senza di essa il sostentamento per la sopravvivenza viene a mancare.
Fa specie che il filosofo francese rimandi alla rivoluzione di quel popolo poco amato dai grillini, o ex grillini, visto che il comico si è, o è stato, emarginato dalla sua stessa creatura (proprio come Rosseau che morì in isolamento) e che i rivoluzionari, per la presa della Bastiglia, impugnarono quei forconi tanto amati dal leghista.
Vincitori tutti, a questo giro.
Però, a colui che voleva essere processato ed era pronto a finire con le arance in cella come un pensatore libero reso martire dalla magistratura e poi dopo dieci minuti ci ripensa, un consiglio lo voglio dare; visto che negli ultimi mesi le vendite della Nutella sembrano aver subito un leggero calo, il cantautore Ultimo dopo il suo tweet non ha vinto Sanremo e Mahmood, che non era da Lei amatissimo, non solo ha vinto il festival, ma è in testa alle classifiche, Le ricordo una data: 4 dicembre 2016.
Quel giorno, qualcuno spocchioso come lei, sicuro della vittoria, arroccato nella sua arroganza e sete di potere, mise in gioco il suo governo su quel referendum e prese una mazzolata non indifferente: fece le valigie e di lui non rimane ora che qualche ospitata televisiva, tentativi vani di ribalta, un documentario, qualche libro e l'oblio della solitudine. Stia attento Matteo perché l'amore del popolo è effimero, lo chieda a Renzi: prima visto come l'uomo della rottamazione, l'uomo nuovo della sinistra e poi finito a fare la controfigura nei meme di Rowan Atkinson (Mr. Bean, per intenderci).
L'altro intreccio, che sta appassionando l'opinione pubblica è quello tra politica e musica ed è rappresentato da Morelli, leghista, presidente della commissione Trasporti e telecomunicazioni della Camera ed ex direttore di Radio Padania, e il già citato Mahmood che, oltre a essere primo in classifica, rientra di rimando nella polemica sulla quantità di canzoni straniere trasmesse nelle radio nazionali.
Anche qui regna una grande confusione. Solo dopo la polemica canterina dei giorni scorsi, viene sollevata una questione sui palinsesti radiofonici italiani che sembrerebbero preferire l'importazione di popolari successi provenienti da oltre confine piuttosto che prodotti nostrani, made in Italy al cento per cento.
Ma Mahmood non è italiano, non canta in italiano, non abita nella periferia di Milano? Cosa c'entra ora? L'arte, le idee, la bellezza devono avere un passaporto e pagare i dazi?
Ma la proposta avanza volendo applicare l'analogo delle "quota rosa" anche alle canzoni: due su tre italiane. No, facciamo i 5/6. Meglio undici canzoni su dieci solo italiane, commenta Albano.
Imponiamo barriere (capisco che ora siano di
moda) anche alla creatività: perché perdere tempo provando a produrre un made in
Italy esportabile all'estero anche per la nostra musica, come già accade
per la moda, il design e il cibo italiano desiderati da tutto il mondo?
Tra l'altro ci sarebbero già alcuni precursori, con tanto di risultati positivi, come la Pausini, Ramazzotti, Bocelli e lo stesso Albano, che in Russia sbanca i botteghini.
Ancora una volta è evidente lo scollamento tra i palazzi del potere e la realtà, in questo caso quella discografica, dove dettano legge major che hanno nel loro portfolio artisti di diverse nazionalità, e in cui il popolo, grazie a strumenti come YouTube o Spotify, con una modica spesa mensile possono, piuttosto democraticamente, ancora scegliere ciò che vogliono ascoltare, avendo a disposizione una vastissima libreria mondiale. Anche in questo caso sarà un nulla di fatto, parole e polemiche al vento. Se il destino della prima coppia sembra essere ormai inevitabilmente intrecciato, la seconda coppia prenderà strade differenti che li condurranno a porte diverse: una aperta verso i palazzetti d'Italia, l'altra sprangata a serrare le stanze del potere.
Il popolo sovrano, fintamente coinvolto nelle decisioni sostanziali per il paese, è sempre più confuso tra reddito e tutor, quota cento e lavoro nero, migranti e cantanti, pastori e capre, capre e cavoli, sìno-nosì dei suoi rappresentanti, fino a quando il pane finirà: mi chiedo solo se per quel giorno i politici avranno nascosto all'interno dei loro palazzi abbastanza brioches.
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