Non lasciamoci soli, aiutiamoci.


La scorsa mattina stavo rifacendo il letto. Le operazioni da compiere sono semplici; togliere le lenzuola da lavare, far prendere aria al materasso e ai cuscini, poi rivestire di nuovo il tutto con della biancheria pulita e profumata: copri materasso in spugna, lenzuolo con gli angoli, lenzuolo piano, federe, coperta e copriletto.
Proprio mentre rimboccavo le coperte sotto il materasso mi è venuto in mente che di solito il letto lo rifaccio con il mio fidanzato, diminuendo il tempo impiegato per l'operazione e soprattutto dimezzando la fatica. In quel preciso momento, se solo fosse stato presente a casa, gli avrei chiesto di darmi una mano.
Nello stesso attimo ho pensato a mia mamma, che il letto lo ha sempre fatto da sola, a volte con uno sporadico  aiuto da parte delle sue figlie, ma comunque novantanove volte su cento, da sola.
Ho pensato a lei che non avrebbe mai chiesto aiuto a suo marito per un mestiere così umile, non tanto per la suddivisione dei ruoli ben definita tra donna e uomo o moglie e marito, ma più per una ragione di orgoglio. Negli anni ha dovuto dimostrare a tutti di saper essere una brava madre e un'ottima casalinga, senza mai cedere a un momento di sconforto o alla tentazione di chiedere aiuto a qualcuno, nemmeno ai parenti. La società l'avrebbe marchiata a vita come una donna poco capace e lei stessa non avrebbe sopportato una tale vergogna.
La frase che gira nella testa a ognuno di noi è, di solito, "chi fa da sé, fa per tre": come una specie di mantra che continua a suggerirci che non bisogna chiedere aiuto e che arrangiarsi è fondamentale per una vita felice. Soprattutto, è il segreto per essere ben accetti nella nostra società.
Chiedere aiuto, aiutare, farsi aiutare, sono tutte pratiche mal viste dal mondo moderno, in cui la massima espressione di successo viene declinata sempre al singolare, mai al plurale. L'uomo, la donna in carriera e che ce l'ha fatta è sempre il singolo individuo, lo stereotipo da seguire e da imitare. "Non ha ricevuto aiuti, lui si è fatto da solo" sono le parole che consacrano il successo individuale, vero leitmotiv che scandisce la nostra esistenza, a partire dai messaggi pubblicitari, ad esempio.
Non si deve chiedere aiuto, non si può, perché è segno di debolezza, dell'incapacità di risolvere un problema o affrontare una situazione da soli.
Chi chiede aiuto è visto come un soggetto di livello inferiore, non semplicemente come una persona che conosce le proprie capacità e riconosce i propri limiti; così per la strada incontro signore anziane con evidenti difficoltà a camminare che portano pesanti borse della spesa, mamme che allattano un figlio al seno mentre vestono l'altro e nel contempo scrivono una mail, nonni che cercano di mandare un messaggio vocale con whatsapp mettendoci lo stesso tempo impiegato da Manzoni per scrivere I Promessi Sposi. Non sia mai che chiedano a qualcuno di aiutarli.
Anche offrire il proprio aiuto risulta un atto di maleducazione, poiché sembra offendere profondamente la persona a cui è rivolto: la signora a cui apri la porta del palazzo ti guarda con stizza dicendoti che ce la faceva da sola, il signore a cui raccogli le chiavi per strada ti dice di farti gli affari tuoi, e quando dici alla tua amica che se ha bisogno di una mano con i bambini ti può chiamare, "Guarda che io ce la faccio da sola!" è la risposta standard che ricevi.
Lo so che tutti noi siamo in grado di fare qualsiasi cosa, però non è un crimine aiutarsi a vicenda, anche solo per alleggerire gli impegni giornalieri di una mamma o evitare che una persona anziana compia sforzi inutili. 
La concezione della società composta da individui solitari, autosufficienti e diffidenti nei confronti degli estranei, è il massimo risultato ottenuto da una politica di esaltazione dei risultati del singolo e non della comunità: la celebrazione della figura del leader.
Il risultato ottenuto è un senso di vergogna provato da coloro che chiedono aiuto, un lieve disprezzo nei loro confronti e una disabitudine delle persone nell'offrirlo l'aiuto.
Cresce così l'indifferenza per le condizioni di vita dei malati, dei disabili, di chi vive sotto o vicino alla soglia di povertà, fino ad arrivare all'odio per i migranti, perfetta incarnazione di chi tende la mano, cerca aiuto in un paese straniero e in più, nell'immaginario di molti, porta malattie: il peggio del peggio, l'incubo del super-uomo moderno.
Nella perdita dell'aiuto reciproco, vedo lo sgretolarsi del senso di comunità e di gruppo in cui ciascuno ha delle abilità fisiche o mentali da mettere a disposizione di tutti, non solo per il proprio benessere, rendendosi partecipe del progresso della comunità stessa.
La società non ci vuole capaci di chiedere o dare aiuto agli altri: l'unione, vera forza delle persone, spaventa quelli che preferiscono vederci chiusi nella nostra solitudine e diffidenza, e che appagano il nostro ego con l'esaltazione delle nostre fatiche personali, volte a raggiungere piccoli obbiettivi, facendoci credere di essere capaci di grandi imprese, quando invece sprechiamo energie per arrivare da soli alla meta, mentre in compagnia ci impiegheremmo la metà del tempo e della fatica.
In fondo è meglio affrontare l'affamato lupo solitario che il pacifico branco di elefanti incazzati. 

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