Popoletto del Festival: "Zitti e buoni"
Si è conclusa la discussa settantunesima edizione del Festival della canzone italiana, condita con le classiche e immancabili polemiche; ma, mentre tutti erano concentrati sul calo degli ascolti, la durata temporale estremamente lunga delle serate e la scontata diatriba dialettica su Achille Lauro, io sono rimasta colpita da altri avvenimenti.
Comincio da Amadeus; mentre l'anno scorso era stato pubblicamente ripreso dalla associazione del politically correct, suprattutto la fronda femminista, per una sua frase infelice, quest'anno, nella serata delle cover, introducendo l'esibizione di Gio Evan, dice: "Max Pezzali ha scritto canzoni che sono il manifesto pop di una generazione che aveva rinunciato all'impegno e si era concentrata su se stessa."
Tutto chiaro? Choosy, fancazzisti, figli di papà che non siete altro? Non siete mica quelli del sessantotto, voi. Loro sì che erano impegnati hippie, sognanti figli dei fiori e rivoluzionari diciotto politici, protagonisti dei favolosi anni settanta, creatori dei scintillanti anni ottanta, loro sì che hanno lavorato duramente per darvi un futuro migliore fatto di televisione, plastica e consumismo sfrenato. Bamboccioni, baciate il suolo su cui camminano quelli del 68!
Noi gli egoisti rinunciatari della rivoluzione, tutti zitti, nessuno fa una piega.
Continuano le serate e tra gli ospiti si affaccia una giornalista, Barbara Palombelli, che si autoincensa dall'inizio alla fine in un monologo iper femminista, con coccetti ovvi, triti e ritriti, ipocriti, la storia di Tenco, la storia della povera Giovanna d'Arco di Roma immolata al lavoro, la storia di Cenerentola e non contenta perpetra il concetto di Amadeus: "Erano gli anni 70, oltre a lavorare bisognava lottare per i diritti. Perchè voi ragazze, voi donne giovani li avete trovati già fatti. Noi li abbiamo dovuti costruire. Anche andando in piazza."
Tutto chiaro? Voi bamboccione, che adesso dormite sugli allori, lei ha dovuto anche protestare nei salotti buoni dei Parioli per ottenere i diritti, che suona un po' come: "Abbiamo fatto di tutto. Perfino annientarci negli uffici a lavorare pur di dare una mano a chi ne aveva bisogno." (Toninelli docet). Quindi pantofolaie d'Italia, cosa state a casa a fare, andate in piazza come dice Barbara: intanto la casa ve la pulisce la colf, la nonna e la tata vi tengono il pupo, da mangiare ve lo porta direttamente dal ristorante di Cracco un gentile immigrato della Nigeria pagato due spicci (ma ne guadagna in salute, si sa, la bicicletta fa bene) e a lavoro prendete malattia, se avete la partita iva a lavorare potete andare quando volete, siate flessibili e poi ora con lo smart working, ancora meglio, fatturate dall'attico di duecento metri quadri in centro, non lamentatevi.
Noi ragazze con la pappa pronta, che magari nel luglio del 2001 sono state massacrate di botte, tutte zitte, nessuna fa una piega.
Non paghi di tutto ciò, arriva una signora, anche lei giornalista, Giovanna Botteri, al centro delle critiche nei mesi scorsi per il suo aspetto poco curato, soprattutto per quanto riguarda trucco e parrucco. Dopo aver dichiarato in conferenza stampa: "Sono iper emozionata, preoccupata, tesissima e stanotte non ho chiuso occhio. Mi hanno detto 'ma come, le bombe'... l'emozione di Sanremo è quasi peggio delle bombe", ecco che, sul palco di Sanremo, i capelli arrufati e con un "po' d'argento che li colora" spariscono per far posto a un'ordinata acconciatura biondo spento, tanto triste, ma impeccabile; l'aspetto magnificamente normale, lascia il posto a un perfetto trucco in tono con un perfetto completo, mentre recita il suo elogio all'imperfezione, a quanto siamo belli così imperfetti.
Tutto chiaro? Voi donne che secondo la Palombelli dovete ribellarvi, fatelo con stile. Conformatevi a ciò che la buona società vuole. Se vi fanno delle critiche su aspetti frivoli dell'esistenza umana, correte ai ripari, affidatevi al parrucchiere e poco importa se avete fatto la reporter di guerra e vi scoppiavano le bombe sotto il sedere: per essere brave e avere riconosciuta la vostra bravura una buona messa in piega paga. In fondo meglio le bombe che Sanremo!
Noi "ragazze al potere", che se voglio non mi rado l'ascella e il corpo è tutto mio, tutte zitte, nessuna dispiaciuta per la figura barbina fatta con la frase in conferenza stampa, perchè fa brutto criticare una donna anche se si dimostra allo stesso livello degli uomini o peggio, e buona pace al "mi faccio crescere i peli delle gambe e ci faccio le treccine": tutte a prenotare una ceretta dall'estetista.
L'attenzione pubblica non si è soffermata su tutto questo, ma sul fatto che una donna voglia essere chiamata direttore d'orchestra, episodio che ha indignato le vagina power, ma che in realtà è il gesto più sprezzante per la sfera maschile; sono giovane, bella, bionda, con un vestito elegante e tu mi chiami come dico io: direttore, grazie.
L'attenzione non si è soffernata sulla autoconsacrazione dei sessantottini e il loro becero bullismo nei confronti delle generazioni successive, ma si è sparato a zero su un ragazzo, Achille Lauro, che di mestiere fa l'artista, fa esibizioni, sinceramente non troppo originali, ma ben eseguite e messe in scena, in cui cerca, a suo modo e con la sua sensibilità di toccare temi e problematiche che una società civile nel 2021 dovrebbe aver già assimilato, fatto propri, e metabolizzato come il superamento dei generi, la considerazione degli esseri umani come persone e non come categorie prestabilite, la visione della realtà come un insieme di grigi e non di soli bianchi o neri, buoni o cattivi, santi o peccatori, ma comunque sempre tutti giudici accreditati a ferire con le parole il petto insanguinato di chi è più debole o semplicemente non socialmente omologato. Come dice Willie Peyote: "Sembra il Medioevo, più smart e più fashion."
Come epilogo arriva la profonda indignazione per la vittoria dei Maneskin, gruppo di giovani ventenni, colpevoli di aver portato una canzone vagamente rock, timidamente ribelle, leggermente aggressiva, ma con un concetto chiaro e veritiero: "Siamo fuori di testa", cioè tutti, non solo i Maneskin. Indignati i musicisti, per l'incapacità dei ragazzi, per la pochezza strutturale del brano, per il possibile plagio, indignati i monarchi del bel canto che vedevano in Renga e Meta, che fa Renga, lo sfoggio della più nobile arte canora nazional popolare, indignata la buona società dei sessantottini perchè il frontman si tocca le parti basse. Che dire: l'invidia è una brutta cosa e il bigottismo dei sessantottini ancora peggio.
Non paghi di tutto questo ecco stagliarsi all'orizzonte lui, Fedez, consorte della lei, Ferragni, e il televoto. Apriti cielo! Dèi pagani incontrastati dei followers, colpevoli di esternare troppa emozione, di manifestare troppo mieloso amore e di essere colpiti da quell'incontrastabile mania che contagia ogni familiare, più o meno stretto, per cui tuo figlio dovrebbe sempre essere il protagonista della recita scolastica, tuo fratello il miglior calciatore del torneo della parrocchia, tuo nonno il miglior umarell (cioè l'uomo che osserva i cantieri) di tutta la città e, ahimè, tuo marito il vincitore del Festival di Sanremo. Loro sono colpevoli di manipolare le menti umane e di far spendere 51 centesimi ad esseri non senzienti, poveri imbecilli consumatori, la cui difesa viene assunta dal sommo Codacons, pronto a chiedere l'annullamento della classifica a causa dell'appello della devota moglie. Ecco loro due dovranno un giorno rendere conto alla popolazione di come caspita hanno fatto, con "un bacino di utenza di 23 milioni di follower", a perdere il festival.
Si è consumato così, anche quest'anno, il dramma sanremese e io che rimanevo piacevolmente stupita dai tempi comici di Zlatan Ibrahimović, dal coraggio del motociclista che gli ha dato il passaggio, dalla verità di Madame sui banchi a rotelle, girovaghi senza meta sul palco, mentre lei, secondo me, diceva "PRESINCULInensinainciusol", dalla fantastica digressione di Valerio Lundini nella cover di Penso positivo che ha fatto godere l'ingegnere edile mancato che soggiorna nel mio subconscio, ecco, mentre succedeva tutto questo, mi chiedevo come mai il giudizio nazionale non esprimesse il profondo disdegno per un senatore della Repubblica Italiana che ha intenzione di querelare un giornalista reo di porre una semplice domanda: cosa va a fare il 6 marzo a Dubai Matteo Renzi?
I sessantottini tutti zitti, di fronte ad un rappresentante della Repubblica, in quanto senatore, che non rende alcuna spiegazione del suo viaggio; il mondo politico tutto mestamente zitto, anzi, Guido Crosetto (Fratelli d'Italia) lo difende strenuamente da Fazio e sembra che abbia anche scritto che Renzi è libero di andare in vacanza dove vuole; i giornalisti invece scrivono, sì, paginate di articoli su Sanremo.
Noi popoletto del festival dobbiamo seguire le regole, non possiamo andare nel comune vicino ad incontrare un caro amico, continuiamo a campare per comprare mascherine e Amuchina, siamo controllati e autocertificati, ma non troppo tamponati e vaccinati, a noi è lecito chiedere anche quante volte andiamo in bagno se lo Stato lo vuole sapere, ma a noi cittadini del festival, che poi saremmo lo Stato italiano, non è dato sapere cosa fa Matteo Renzi.
Tutto chiaro? Stiamo zitti e buoni.
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