cineretrò con caffè #10: La tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci 1981

Bertolucci l'ho sempre trovato ostico, proprio come la meccanica razionale: materia oscura, propedeutica e indispensabile ad altre applicazioni, ma poco intuitiva, per niente immediata e anche dopo averla studiata e aver superato l'esame non so ancora bene di cosa tratti, rimanendo una specie di nebulosa di informazioni e concetti che il mio limitato cervello si rifiuta di padroneggiare. Per me il regista emiliano è al limite dell'incomprensibile e non si smentisce neanche in questo film. La storia fa perno su un rapimento che si vede, il padre del ragazzo rapito è testimone oculare del fatto grazie a un binocolo avuto in regalo dallo stesso figlio, ma nel procedere della narrazione la tragedia del triste evento non si percepisce. Rimangono il dramma delle dinamiche familiari, una certa critica alla politica ("Questo è proprio un comizio: mentiamo quando dobbiamo dire la verità, diciamo la verità quando dovremmo mentire), l'eterna lotta generazionale e anche un po' di facile pregiudizio per cui il personaggio di una bellissima Laura Morante viene guardata con sospetto, "non sembra di queste parti, ha qualcosa di meridionale: non sarà mica araba?". Le indagini sul rapimento sono marginali, perché Bertolucci si diverte ad indagare la figura di Primo, l'industriale, il cui caseificio è l'unica cosa da non perdere, interessato ai soldi solo per non cedere le sue forme di grana alla banca, perché lui è "attaccato alle cose" non alla ricchezza in sé, mentre la moglie, preoccupata dalla futura povertà, fa affari con gli usurai (che "hanno sempre freddo"). Dell'enigma iniziale, Bertolucci, non dà alcuna risoluzione, tanto che nel finale dichiara apertamente non essere quello il suo scopo, ma, come nei migliori romanzi gialli sparge alcuni indizi: "L'importante è la sincerità, la morale viene dopo." o "Karakiri" lasciano intendere allo spettatore una possibile spiegazione.
Fanno da contrasto a questa storia complicata e ai suoi oscuri personaggi, la regia, con movimenti di macchina sublimi, e la fotografia, le cui immagini descrivono in modo chiaro e preciso la vita della pianura e i suoi paesaggi, riportandomi alla mente alcuni quadri di Fattori.
Di questa sceneggiatura, che per tempi e impostazione della recitazione si avvicina molto a una pièce teatrale, confesso, ho capito poco, lasciandomi la sensazione di essere stata sempre ingannata, d'altronde "la verità è una parola grossa".




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